lunedì 9 agosto 2010

CIMA DA CONEGLIANO - Poeta del paesaggio


Cima da Conegliano, soprannome di Giovanni Battista Cima (Conegliano, 1459/1460Conegliano, 1517/1518), è stato un pittore italiano, esponente della scuola veneta del XV secolo.Solo scarsi documenti permettono di ricostruire la vita del pittore. La data di nascita dell'artista (1459 o 1460) non è accertata, ma dedotta dall'estimo coneglianense del 1473, nel quale è nominato un Joannes Murator: il pittore doveva avere infatti all'epoca quattordici anni, poiché questa era l'età in cui si cominciava a pagare le tasse in proprio, secondo le leggi della città veneta.
                                                                  Per assenza di fonti non è nota la formazione artistica antecendente al 1489, data del primo dipinto a lui attribuito. Si trasferì a Venezia attorno al 1489 dove aprì una sua bottega. Dell'anno 1494 ci restano alcuni pagamenti fatti all'artista. Altri pagamenti risalgono al 1499, al 1504 ed al 1510.  
                                                                                                             Tra il 1500 e il 1515 visse probabilmente tra Venezia e l'Emilia. A Parma, Bologna, Carpi gli vennero commissionate opere per alcune chiese, quali la Madonna col Bambino tra i santi Michele Arcangelo e Andrea del 1505 e la Sacra Conversazione del 1513.
La sua presenza a Conegliano, dove trascorreva le estati, è documentata, per l'ultima volta, nel 1516. Morì fra il 1517-1518, probabilmente a Conegliano, dove resta la sua dimora, oggi Casa museo di Giovanni Battista Cima.







Tra i maggiori esportatori della cultura artistica veneziana nel retroterra veneto della Serenissima, con il suo stile pittorico improntato ad un raffinato classicismo, Cima viene generalmente ritenuto, dagli storici d'arte, un allievo di Giovanni Bellini. Altre influenze pittoriche riconoscibili sono quelle di Antonio Vivarini, Vittore Carpaccio, Giorgione, Marco Palmezzano.



La sua produzione artistica si incentra sulle rappresentazioni sacre e i suoi temi figurativi principali sono:








  • Le immagini devozionali della Madonna
Tra le più pregevoli la Madonna dell'Arancio del 1496, conservata alle Gallerie dell'Accademia di Venezia, e la Madonna col Bambino del 1504-1505, oggi conservata alla National Gallery di Londra, opera n°300 nel catalogo del museo, servita da prototipo, per Cima, per alcune repliche e copie successive.
  •   Le Sacre Conversazioni e altre composizioni di Madonna con i santi.
Fra le opere più significative di questo tipo, la Sacra Conversazione del 1495 conservata alla National Gallery of Art di Washington, considerata la migliore fra quelle del pittore, e la Madonna col Bambino tra i santi Michele Arcangelo e Andrea del 1505 conservata alla Galleria Nazionale di Parma ed erronamente attribuita, nel XVIII secolo, a Leonardo da Vinci per la falsa firma sul dipinto.      
 Il libro, curato da Giovanni Carlo Federico Villa, coadiuvato da un comitato scientifico che comprende studiosi di Cima, quali Peter Humfrey, David Alan Brown, Mauro Lucco e Matteo Ceriana, presenta tutte le opere attribuite all'artista ricostruendo la vicenda artistica di Cima, sottolineandone il ruolo fondamentale, nello sviluppo della pala d'altare veneziana e nella narrazione di un paesaggio georgico, essenza stessa di una poesia di cultura umanistica da lui solo espressa. Del pittore molti aspetti sono ancora avvolti in un cono d'ombra, e solo la possibilità di porre a confronto le sue opere può consentire di risolverli, aiutati da alcuni documenti emersi nel corso di questi ultimi anni.
GIO. BATISTA DA CONIGLIANO
POETA DEL PAESAGGIO
 *
dal 26 febbraio al 2 giugno 2010, Palazzo Sarcinelli - Conegliano Veneto (TV)
A quasi cinquant’anni dall’esposizione curata da Luigi Menegazzi e allestita da Carlo Scarpa nel Palazzo dei Trecento di Treviso e a oltre un quarto di secolo dalla fondamentale monografia di Peter Humfrey, la città natale propone una mostra su Giovanni Battista Cima (Conegliano, 1459/1460 – 1517/1518) maestro che, nel pur breve arco di carriera, per un ventennio è stato ai vertici della pittura sacra in laguna.
"Desidero sottolineare – dichiara Alberto Maniero, sindaco di Conegliano - l'eccezionalità di un evento di una così grande portata dedicato, per la prima volta, al Cima nella sua città natale. Siamo riconoscenti all'artista e alla sua opera che ha reso internazionale la fama della nostra città e che abbiamo voluto, con determinazione, in occasione della particolare ricorrenza. Si tratta di un evento straordinario anche perché coincide con la riapertura al pubblico di Palazzo Sarcinelli, uno dei palazzi comunali più prestigiosi del centro storico, per decenni sede di mostre d’altissimo livello e recentemente oggetto di un impegnativo intervento di restauro conservativo. La storia di questo Palazzo si incrocia dunque con quella del celebre artista coneglianese a distanza di quasi 500 anni dalla sua edificazione (1518) dai nobili Sarcinelli da Ceneda e dalla morte del Cima (1517)".
Le prime due sale del percorso espositivo consentiranno di irrompere nel paesaggio veneto del Quattrocento, una delle chiavi di lettura privilegiate dell’opera del coneglianese. Si scoprirà così come Cima sia stato il primo artista che ha lasciato l’utopia del paesaggio ideale per restituire invece, in scenari incantati, una resa topografica e concreta dei colli trevigiani, di Conegliano e delle sue terre.
Nell’umanesimo risiede una delle letture privilegiate dell’arte di Cima. Infatti, il genio coneglianese può essere considerato il solo artista che a Venezia potesse considerarsi ‘umanista’ nel vero senso della parola. E questo lo si intuirà, ammirando la sua tecnica sopraffina, esaltata nelle successive due sale con alcuni tra i maggiori restauri effettuati negli ultimi anni. Da qui, il percorso seguirà cronologicamente la storia artistica di Cima. Ogni sala sarà così caratterizzata da una focale centrale, un altare che presenterà la pala di riferimento di ogni stagione della sua pittura. Si comincerà dalla Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giacomo e Girolamo della Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati di Vicenza – ove appare  “l’indimenticabile pergolato di vite” tanto caro a Roberto Longhi – per andare poi con lo stupefacente Riposo nella fuga in Egitto con i santi Giovanni Battista e Lucia della Fundaçao Calouste Gulbenkian di Lisbona, dove l’uomo e la natura sono ormai un tutt’uno. E poi, tra gli altri, la Madonna con il Bambino e i santi Michele arcangelo e Andrea della Galleria Nazionale di Parma, con i suoi frammenti di marmi antichi a far da tappeto ad alcune tra le figure più intense e statuarie delle pittura padana del Quattrocento o l’Incredulità di San Tommaso delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, colma di poesia di luce e d’immanenza.
Accanto alla decina di grandi pale, si troverà una scelta dei prototipi principali della devozionale Madonna con il Bambino; esemplari ammirati e copiati da generazioni intere di pittori – si pensi tra gli altri ai dipinti provenienti dalla National Gallery di Londra, dagli Uffizi di Firenze, dal National Museum of Wales di Cardiff – e poi temi sacri e profani in cui si scorge la formidabile ascesa nell’empireo dei grandi operata da Cima. Ammirando la serie completa dei San Girolamo nel deserto – provenienti da Harewood (Yorkshire, Harewood House), Milano (Pinacoteca di Brera), Washington (National Gallery of Art), Londra (National Gallery) e Firenze (Uffizi) – si scopriranno le radici di Giorgione e di Lorenzo Lotto. Di grande importanza saranno i cassoni ricostruiti grazie a recuperi eccezionali, come il Teseo alla corte di Minosse finalmente rintracciato in una collezione svizzera che verrà posto accanto al Teseo e il Minotauro della Pinacoteca di Brera, mentre il Bacco e Arianna del Museo Poldi Pezzoli di Milano si ricongiungerà con il Sileno e Satiro del Museum of Art di Philadelphia.
Sant'Elena, olio su tavola, 40,6x32,4 cm. Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection
Una pittura profana che sottolinea il ruolo di prestigio ricoperto da Cima a Venezia e nei territori della Serenissima. È lui infatti l’interprete principe di un nuovo sentire, di una riscoperta della classicità portata avanti da Aldo Manuzio e dalla sua cerchia. Tanto che sarà lo stesso Cima a eseguire le pale per il Cardinal Montini e Pio da Carpi, oggi a Parma e Parigi, andando a incidere con la sua arte fin in Emilia e germinando poi nella pittura di Correggio.
Di Cima da Conegliano, molti aspetti sono ancora avvolti in un cono d’ombra, e solo la possibilità di porre a confronto le sue opere può consentire di risolverli, soprattutto alla luce della scarsità di documenti emersi nel corso dei secoli. Se la sua data di nascita (1459 o 1460) è desumibile dall’estimo coneglianese del 1473, ove lo si identifica in un Joannes Cimator, immaginandolo dunque circa quattordicenne, età in cui si cominciava, secondo la normativa veneta, a pagare le tasse in proprio, le prime testimonianze artistiche sono quelle che narrano di un Magister Zambatista pictor pagato nel 1486 per un gonfalone della Scuola dei Calegheri di Conegliano, oltre all’orgogliosa firma e data Joanes Baptista de Conegliano fecit 1489 adì primo marzo, apposta sulla pala per la chiesa di San Bartolomeo a Vicenza. Proprio questa grande tela aprirà la mostra, andando a sottolineare immediatamente il problema della formazione di Cima.
L’assenza di fonti, infatti, non chiarisce questa questione prima del 1489, anno in cui si trasferisce da Conegliano a Venezia, dove apre una bottega autonoma. Nella città lagunare sarà pagato per varie pale d’altare nel 1494, nel 1499, nel 1504 e nel 1510. Tra il 1500 e il 1515, alternerà il soggiorno veneziano a frequenti viaggi in Emilia, tra Parma, Bologna e Carpi, dove riceverà numerose commissioni per altari. Documentato per l’ultima volta a Conegliano nel 1516, quando effettua la dichiarazione delle tasse, muore tra il 2 ottobre 1517 e il novembre 1518, come desumibile dagli ultimi due certificati conosciuti.
La penuria di documentazione archivistica è in parte risarcita dalla grandezza assoluta di un artista che fin dagli esordi riuscì magistralmente, in uno stile di raffinato classicismo, a combinare la lezione pittorica di Giovanni Bellini con quella scultorea dei Lombardo, declinando poi la lezione di Antonello da Messina giuntagli per il tramite di Alvise Vivarini. Già Vasari, nell’edizione delle Vite del 1550, ne esaltava le doti, sottolineando come “Fece anco molte opere in Venezia, quasi nei medesimi tempi, Gio. Batista da Conigliano, discepolo di Gio. Bellino [...] e se costui non fosse morto giovane, si può credere che avrebbe paragonato il suo maestro”.
“E negli anni Novanta del Quattrocento è Cima, accanto a Giovanni Bellini, il grande inventore dei cieli e del paesaggio italiano. Reso con una poesia capace di valicare i secoli ed essere ancora attualissima, in valli e rocche definite dall’intensità di albe e tramonti che saldano uomini e natura in indissolubile unità. Da qui nasceranno Giorgione, Tiziano e la fondamentale stagione del Cinquecento veneto” racconta Giovanni C.F. Villa.
San Girolamo nel deserto, olio su tavola, 63,5x100,5 cm. Harewood, Harewood House Trust
Cima da Conegliano. Poeta del paesaggio
di Giovanni Carlo Federico Villa (Curatore della mostra)
Nel novembre del 1500 a Giovanni Bellini, dopo un decennio di totale dedizione alla committenza profana, intento all’esecuzione dei perduti teleri narrativi per la Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale a Venezia, viene commissionato un Battesimo di Cristo per la chiesa di Santa Corona a Vicenza.
Colui che da quattro decenni è uno dei massimi poeti della penisola decide di confrontarsi con chi ne ha preso il ruolo di pittore di storie sacre. Quel Giovan Battista Cima da Conegliano che, nel Battesimo per l’altare maggiore della veneziana chiesa di San Giovanni in Bragora, composto tra il 1492 e il 1495, in una limpidezza di luce adamantina e in una veduta di profondità e liricità assolute ha collocato figure dal canone ideale, copie pittoriche degli esiti scultorei di Tullio Lombardo. Il dialogo a distanza di due tra i sommi dell’arte di ogni tempo è il confronto tra due modi diversi ma paralleli di intendere il mondo: nella sua risposta diretta a Cima eseguendo Bellini un’opera che segna un nuovo accordo tra umanità divina e natura tramite figure calate in intenso dialogo con la realtà di un paesaggio atmosferico. Una vera riforma visiva che, dal tempio di Santa Corona, sottolineerà ancora una volta il ruolo di primissimo piano di Giovanni in quel decennio che muterà per sempre gli equilibri della pittura veneziana, impetuosamente e rapidamente cambiandone il corso.
In intesa con Cima da Conegliano, maestro indiscusso, con la sua cristallina chiarezza comunicativa, per tutto l’ultimo decennio del Quattrocento, tanto della pittura devozionale quanto di quelle storie mitologiche che adorneranno i cassoni nuziali delle grandi famiglie patrizie. In raffinate tavole che raccontano l’uomo meglio di ogni documento. Poiché poco sappiamo, così come per Bellini, anche di Cima. Un artista la cui altissima arte, riconosciuta da committenti e colleghi all’epoca, è entrata in un cono d’oblio causa una vita trascorsa tra la natia Conegliano e Venezia e priva di quegli spunti di mistero che si prestavano alla narrazione ottocentesca e alla creazione del mito, così come avvenuto in area veneta per un Giorgione o, in senso più ampio, per Raffaello, Michelangelo o Caravaggio.
La mostra a Palazzo Sarcinelli vuole dunque raccontare, attraverso l’attenta scelta di oltre quaranta capolavori assoluti di Cima provenienti dai principali musei d’Europa e Stati Uniti, selezionati da un comitato scientifico di assoluto prestigio, il percorso di uno dei geni sublimi della storia dell’arte, uno degli interpreti più alti del fare artistico, autore di dipinti entrati nei manuali anche per la stupefacente sapienza tecnica e la meticolosa descrizione oggettiva di una realtà vissuta concretamente.
Per narrare questa storia si è impostata una mostra che accompagni il visitatore a entrare con delicatezza e stupore nel mondo di Cima. Al piano terreno di Palazzo Sarcinelli due sale consentiranno di irrompere nel paesaggio veneto del Quattrocento, una delle chiavi di lettura privilegiate dell’opera del coneglianese. Si scoprirà così il primo artista che ha lasciato l’utopia del paesaggio ideale per darci invece, in scenari incantati, una resa topografica e concreta dei colli trevigiani, di Conegliano e delle sue terre. Trasponendo poeticamente in pittura una realtà materiale che ancora oggi riusciamo a intuire, anche se troppo celata dai dissesti edilizi degli ultimi cinquant’anni. E la sorpresa sarà proprio questa: comprendere come il paesaggio di Cima sia rimasto sostanzialmente intatto fin dopo la Seconda Guerra Mondiale, vere e proprie istantanee di un mondo rurale e umanistico al tempo stesso.
Perché proprio l’umanesimo è poi una delle letture privilegiate dell’arte di Cima. Il solo artista che a Venezia potesse realmente considerarsi tale. Come si comincerà a intuire dalla sua tecnica sopraffina, esaltata nelle successive due sale di mostra ove saranno presentati alcuni tra i maggiori restauri effettuati sulle sue opere negli ultimi anni grazie a un accordo con Sandrina Bandiera (Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici per le province di Milano Bergamo Como Lecco Lodi Pavia Sondrio Varese), Caterina Bon Valsassina (Soprintendente PSAE e del Polo Museale della città di Venezia e dei comuni della gronda lagunare) e Anna Maria Spiazzi (Soprintendente per il patrimonio storico, artistico e demoantropologico per la province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso). Le cui tre Soprintendenze hanno predisposto ed elaborato appositi pannelli, esplicativi non solo degli interventi svolti ma anche mirate a svelare i segreti della pennellata di Cima, sublime nel modulare i toni di panneggi, albe e tramonti, visi e sguardi ottenuti tramite sottilissime velature di colore. Una sezione tecnica approfondita anche tramite un’apposita campagna di indagini non invasive svolta dal 2005 in poi, in preparazione della mostra, dall’Università degli Studi di Bergamo che ha svelato i meravigliosi disegni sottostanti la pellicola pittorica.
Da qui, con lo sguardo precisi punti di riferimento, si salirà verso le otto sale espositive, strutturate in un percorso che segue cronologicamente la storia artistica di Cima. Ogni sala sarà così caratterizzata da una focale centrale, un altare che presenterà la pala di riferimento di ogni stagione della sua pittura. Cominciando quindi dalla Madonna in trono con il Bambino tra i santi Giacomo e Girolamo della Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati di Vicenza – ove appare l’ “indimenticabile pergolato di vite” tanto caro a Roberto Longhi – per andare poi allo stupefacente Riposo nella fuga in Egitto con i santi Giovanni Battista e Lucia della Fundaçao Calouste Gulbenkian di Lisbona, ove uomo e natura sono ormai tutt’uno. E poi, tra gli altri, la Madonna con il Bambino e i santi Michele arcangelo e Andrea della Galleria Nazionale di Parma, con i suoi frammenti di marmi antichi a far da tappeto ad alcune tra le figure più intense e statuarie delle pittura padana del Quattrocento o l’Incredulità di San Tommaso delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, poesia di luce, immanenza, respiro di un attimo.
Accanto a una decina delle grandi pale una scelta ristretta ai principali prototipi della devozionale Madonna con il Bambino, con esemplari ammirati e copiati da generazioni intere di pittori – si pensi tra gli altri ai dipinti provenienti dalla National Gallery di Londra, dagli Uffizi di Firenze, dal National Museum of Wales di Cardiff – e poi temi sacri e profani in cui scorrere la formidabile ascesa nell’empireo dei grandi operata da Cima. Così si scopriranno le radici di Giorgione e di Lorenzo Lotto ammirando la serie completa dei San Girolamo nel deserto – provenienti da Harewood (Yorkshire, The Earl of Harewood), Milano (Pinacoteca di Brera), Washington (National Gallery of Art), Londra (National Gallery) e Firenze (Uffizi) – e cassoni ricostruiti grazie a recuperi eccezionali: il Teseo alla corte di Minosse finalmente rintracciato in una collezione svizzera si potrà porre accanto al Teseo e il Minotauro della Pinacoteca di Brera, mentre il Bacco e Arianna del Museo Poldi Pezzoli di Milano si ricongiungerà con il Sileno e Satiro del Museum of Art di Philadelphia.
Una pittura profana che sottolinea il ruolo di prestigio ricoperto da Cima a Venezia e nei territori della Serenissima. E’ lui infatti l’interprete principe di un nuovo sentire, di una riscoperta della classicità portata avanti da Aldo Manuzio e dalla sua cerchia. Tanto che sarà Cima a eseguire le pale per il Cardinal Montini e Alberto Pio principe umanista di Carpi oggi a Parma e Modena, andando a incidere con la sua arte fin in Emilia e germinando poi nella pittura di Correggio.
Il catalogo della mostra – ove si illustrerà per la prima volta a colori l’intera produzione pittorica del coneglianese – renderà conto di tutto questo, evidenzierà e ricollocherà nella giusta e fondamentale prospettiva storica la figura del “bellissimo Cima”, sempre usando le parole di Longhi. E accoglierà novità sorprendenti, frutto degli esiti del lavoro di anni: come la completa ricognizione archivistica svolta da Manuela Barausse, che ha consentito di precisare molti punti oscuri della vita di Cima, in primis il benessere economico di cui ha sempre goduto, e poi l’attenta ricognizione nella pittura profana portata avanti da Margaret Binotto, che magistralmente ha recuperato tutte le fonti letterarie e iconografiche dell’arte di Cima, lavorando tra incisioni, placchette e medaglie antiche.
Una mostra, per certi aspetti, miracolosa: nessuno poteva immaginare di veder convergere da tutto il mondo, nella natia Conegliano, oltre 40 opere su tavola, per loro stessa natura non movimentabili per delicatezza e dimensioni. Ma l’accordo delle principali istituzioni mondiali consentirà, per cento giorni, di godere dell’irripetibile.
 

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